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La sindrome da mobbing

Ultimo Aggiornamento: 22/11/2014 09:52
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06/11/2009 11:49
 
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di Pierguido Soprani, magistrato


Si verifica una situazione di mobbing quando un dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori e, in particolare, quando vengono poste in essere pratiche dirette ad isolarlo dall’ambiente di lavoro o ad espellerlo con la conseguenza di intaccare gravemente l’equilibrio psichico dello stesso, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora persino il suicidio. La responsabilità del datore di lavoro deriva dall’art. 2087 c.c. che impone di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.

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Come difendersi
Il lavoratore mobbizzato, provato emotivamente e fisicamente, rischia di commettere passi falsi che possono compromettere maggiormente il suo benessere.
La prima indicazione da dare è quella di non prendere decisioni irreversibili. Qualunque decisione, infatti, egli intenda assumere sotto la spinta dell’emozione, si rivelerà in futuro insoddisfacente. Insomma dimissioni per disperazione o accettazione di prepensionamenti forzati e via dicendo. E’ importante che sia guidato a seguire un certo comportamento e a prendere alcuni provvedimenti in prima persona per aiutarsi ed agevolare le azioni di chi lo potrà assistere.
Quelli che seguono sono una serie di suggerimenti da fornire al mobbizzato per affrontare la sua situazione. Ovviamente non si tratta di dati scientifici, ma elementi tratti dall’esperienza di chi ha già affrontato il mobbing.
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Riuscire a parlare razionalmente con i familiari e gli amici aiuta ad acquisire consapevolezza e a creare un fronte comune contro l’aggressore. Bisogna però stare attenti a non cadere nel’errore opposto, cioè quello di scaricare sugli altri tutti i problemi, concentrandosi sulla situazione con atteggiamento ossessivo. Questa reazione potrebbe rendere insofferenti le persone che circondano la vittima causando ulteriore solitudine e conflittualità.
E’ utile ricorrere ad un supporto psicologico, a gruppi di auto-aiuto o ad un centro specializzato per evitare per quanto possibile che anche la famiglia e la vita sociale della vittima vengano coinvolti dai conflitti lavorativi.
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06/11/2009 11:52
 
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Quando sono falliti tutti i tentativi possibili di accordo e di soluzione del problema, l’ultima via che rimane è quella legale. Bisogna essere coscienti però del fatto che intraprendere le vie legali comporta un notevole dispendio di energie psico-fisiche ed economiche.
Attualmente in Italia non esiste una legge anti-mobbing; malgrado questo, sono sempre di più i lavoratori che si affidano agli strumenti del diritto. L’arma della denuncia alle autorità giudiziarie è una delle più estreme. Ma attenzione, è anche la più difficile da gestire perché impone uno sforzo emotivo e finanziario che non tutti, specie dopo un lungo periodo di mobbing, sono in grado di sopportare. Un mobbizzaato, quando vuole intentare una causa contro il proprio persecutore, può fare appello tanto al diritto del lavoro quanto alla giurisprudenza civile e penale.
Un avvocato del lavoro potrà aiutarvi nei casi di licenziamenti o trasferimenti ingiusti e più in generale nei casi di bossing che si concretizzano in provvedimenti aziendali irregolari. Ci sono tre articoli dello Statuto dei lavoratoti (legge n°300 del 20.05.1970) che in minima parte si adattano ai casi di mobbing:

• art. 9: "tutela della salute e dell’ integrità fisica".

• art. 15: "atti discriminatori" per motivi politici o religiosi.

• art. 18: "reintegrazione nel posto di lavoro", nel caso di ingiusto licenziamento. Il mobbizzato ha anche a disposizione strumenti legislativi, nel caso in cui la persecuzione psicologica porti a malattie professionali. Gli abusi lavorativi vengono di fatto equiparati a lesioni personali colpose.

• legge 626/94 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.

• art. 2087: del Codice Civile: obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute fisica dei dipendenti. Come si vede si tratta di una legislatura inadeguata e antiquata, che ha bisogno di essere aggiornata e che nei fatti si presta poco alle esigenze delle vittime di persecuzioni lavorative (vedi alla sezionelegislatura).

Nella scelta del legale bisogna stare attenti ad alcuni punti:
• prima di rivolgervi ad un legale raccogliete tutto il materiale scritto che avete a disposizione: i documenti ufficiali e ufficiosi da voi prodotti, le schede dei sintomi psicofisici e delle azioni mobbizzanti ecc. Questa documentazione servirà al legale per farsi un quadro della situazione.
• fornire il materiale raccolto in ordine cronologico. • scegliere un avvocato che abbia già esperienza in casi simili.
• evitare studi collegati in qualche modo con l’azienda o coi datori di lavoro.
• accertarsi che la stessa persona segua il caso fino in fondo.
• decidere assieme gli obiettivi da raggiungere: la reintegrazione nel vostro ruolo? un trasferimento? la revoca di un trasferimento? un risarcimento? Assicuratevi di aver ben chiare le strategie.
• stabilire una cadenza degli incontri.

In caso di licenziamento con successivo reintegro in seguito a esito positivo del procedimento legale è necessario essere consapevoli che spesso le azioni persecutorie subiscono solo una battuta d’arresto, ma i problemi permangono e a volte peggiorano.
Qualche indicazione su come comportarsi in queste situazioni:
• continuare a segnalare gli abusi • mettere al corrente più gente possibile • cercare di rendere pubblica la situazione.
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06/11/2009 11:52
 
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Quando lo stress e la tensione psicologica diventano inaccettabili si è tentati dall’abbandonare il lavoro per lasciarsi alle spalle una situazione insostenibile. Si può ricorrere ad un allontanamento provvisorio oppure definitivo, ma in entrambi i casi le scelte vanno valutate attentamente.
Nonostante tutto moltissimi bersagli di violenza psicologica decidono di allontanarsi definitivamente dall’ambiente mobbizzante e di cambiare lavoro. Quando non viene vissuta come una sconfitta, questa soluzione restituisce alle vittime una grande serenità interiore e un senso di liberazione. Anche se non ci sentiamo di considerala come una strategia vincente, soprattutto perché non è applicabile a tutti i mobbizzati.

• Malattia: un periodo di cura e di riposo può essere utile, anche perché permette di allentare la tensione psicologica e fare il punto della situazione con un po’ più di serenità.
Tuttavia un’assenza dal lavoro prolungata può aggravare le persecuzioni e rendere ancora più tesi i rapporti con l’azienda, un metodo tipico per continuare a molestare il dipendente durante le malattia, ad esempio, è l’invio eccessivo di visite medico-fiscali a domicilio, che possono ulteriormente esasperare la situazione.

• Trasferimento: in alcuni casi può essere utile richiedere un trasferimento, sempre che la struttura aziendale lo consenta. A volte questa scelta si dimostra risolutiva perché si elimina l’occasione del conflitto che può essere alla base del mobbing. Se però il mobbing origina dai vertici stessi sull’azienda questa soluzione sarà ostacolata proprio per portare il dipendente alle dimissioni.

• Dimissioni: il fatto di sentirsi con le spalle al muro può portare il mobbizzato a vedere come unica via di uscita le dimissioni. Abbandonare il lavoro è comunque una sconfitta perché ci si ritira lasciando l’aggressore impunito, è un duro colpo per l’autostima e in più si corre il rischio di non riuscire a trovare una nuova occupazione in tempi brevi.
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06/11/2009 11:53
 
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Non è possibile sperare in una fine naturale del conflitto, il mobbing non si esaurisce e non tende a diminuire in intensità, anzi cresce in maniera esponenziale. Per cui se avete la sensazione di trovarvi in una situazione senza via d’uscita, diventa necessario cercare aiuti concreti, che a seconda dello stadio in cui ci si trova, possono essere:
• sindacato
• associazioni
• medico di base, medico competente, psichiatri, psicologi: Solo di recente la categoria medica italiana sta acquistando consapevolezza del problema mobbing. Quindi non aspettatevi di poter avere l’imbarazzo della scelta se cercate uno specialista che possa aiutarvi a combattere il mobbing da un punto di vista clinico. Fino a pochi anni fa, infatti, non esistevano centri specializzati o dottori con specifiche conoscenza legate agli effetti delle persecuzioni psicologiche del mondo del lavoro.

A tutt’oggi il metodo seguito nei centri specializzati internazionali ottiene senz’altro dei risultati eccellenti, specialmente nella cura di quei pazienti che sono arrivati ad un livello di manifestazioni patologiche piuttosto preoccupanti. Il problema per la vittima del mobbing è arrivare a fruire di queste cure specialistiche. Il fatto che debba essere il medico curante del paziente (o il medico della sua azienda) a proporre il ricovero o l’accesso ai servizi della clinica del lavoro rende difficili le cose perché:

il medico generico di solito non conosce le problematiche e i sintomi del mobbing;
il medico aziendale di solito è direttamente dipendente dai dirigenti dell’azienda della vittima e, temendo la cattiva pubblicità che potrebbe derivarne, non diagnosticherà un caso di mobbing se non in situazioni di disagio già molto gravi.
La diffidenza e la mancanza di aggiornamento da parte della maggior parte degli esponenti della categoria medica sono senz’altro i principali ostacoli. Quindi per prima cosa è necessario che la vittima si sforzi di sensibilizzare sul tema del mobbing il proprio medico curante parlandogli del fenomeno e consigliandoli pubblicazioni (vedi:come difendersi/bibliografia).

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06/11/2009 11:53
 
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La vittima a questo punto deve tentare di crearsi una base di elementi che potrebbero servire in futuro come prove giuridiche.
La raccolta delle informazioni e della documentazione deve essere effettuata su due argomenti principali:
mobbing in genere: raccogliete tutto il materiale disponibile sull’argomento, per combattere contro qualcuno o qualcosa bisogna conoscere il nemico.
ambiente di lavoro: serve per comprendere se il mobbing è una strategia perpetrata dall’azienda per liberarsi di collaboratori scomodi o se invece si tratta di un caso individuale.

cercare informazioni:
• contattare altre persone con lo stesso problema o che l’hanno avuto in passato.
• parlare con impiegati anziani o ex-dipendenti. • valutare la presenza di comportamenti aggressivi o atteggiamenti antisindacali all’interno dell’azienda.

raccogliere sempre:
• nome della fonte.
• date degli avvenimenti.
• documenti, e-mail, appunti e qualsiasi altro materiale scritto che attesti una determinata situazione. Anche una mancata risposta ad una domanda fatta per iscritto può essere una prova della degenerazione dei rapporti.

facendo però attenzione a:
• rispettare la privacy altrui.
• evitare di chiedere informazioni ad amici o collaboratori stretti del mobber.
• informazioni personali.
• precedenti scatti di carriera, premi e promozioni. • riportare le azioni mobbizzanti, cioè imparate a tenere un vero e proprio diario delle azioni mobbizzanti: prendete nota di tutti gli attacchi con date, luoghi e nomi delle persone coinvolte o presenti.
• resoconto dei sintomi psichici e fisici.
• confronto fra la successione delle azioni mobbizzanti ed i sintomi.
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06/11/2009 11:53
 
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Il primo passo che il mobbizzato dovrà fare è raggiungere la consapevolezza della propria situazione, cioè comprendere che i sentimenti che sta provando in questo momento: solitudine, inadeguatezza, rabbia ecc., sono causati dal mobbing e non ne sono essi stessi la causa e capire che sarà necessario mettersi in gioco in prima persona e che gli aiuti esterni (medici, psicologi, avvocati, sindacato) potranno essere dei validi supporti, ma non potranno sostituirsi all’azione della vittima.
Come comportarsi allora?
La scelta migliore è quella di non abbandonare il posto di lavoro, soprattutto se non si ha ancora una valida alternativa di occupazione, e di reagire agli attacchi. E’ utile rispondere ai tentativi di violenza in modo calmo, ma chiaro e deciso a far notare all’aggressore e ai testimoni che la via intrapresa si identifica con un termine specifico, cioè mobbing o molestia morale
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06/11/2009 11:54
 
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www.stopmobbing.org/
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06/11/2009 12:00
 
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nel caso deciso dal Tribunale di Torino nella sentenza 16 novembre 1999 citata nel testo, ove la lavoratrice era stata collocata in uno spazio di lavoro assai angusto, che la restringeva tra due enormi macchine, impedendole alcun contatto con l’ambiente esterno ed i colleghi durante il lavoro, non vi è dubbio che il fatto meritava di essere indagato anche sotto il profilo penale e, in questo ambito, per ciò che riguardava la sua caratterizzazione colposa o dolosa (se cioè la condotta del datore di lavoro fosse consapevolmente orientata o meno a cagionare un danno alla salute della lavoratrice; e nel primo caso se, avendo previsto tale eventualità come conseguenza della propria condotta, il datore di lavoro vi avesse consentito con la formula psicologica della c.d. “accettazione del rischio”): correttamente dunque il Tribunale ha disposto la trasmissione di copia della sentenza all’Autorità giudiziaria penale (Procura della Repubblica), “per le valutazioni e le eventuali iniziative del caso”.
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Chi subisce il mobbing soffre generalmente di depressione, ed è spesso un c.d. “dapista”, soggetto cioè alla situazione di catastrofe emotiva composta dalla triade depressione-ansia-panico. Nel caso già citato deciso dal Tribunale di Torino, la lavoratrice era stata colpita da una “sindrome ansioso depressiva reattiva, con frequenti crisi di pianto, vertigini, senso di soffocamento, tendenza all’isolamento”; sindrome che si era protratta per numerosi mesi, e si era poi risolta a distanza di oltre due anni dalla cessazione della condotta di mobbing.
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06/11/2009 12:03
 
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www.associazionedifesalavoratori.org
www.invisibili.org
www.mobbingonline.it
www.mobby2000
www.diritto.it
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22/11/2014 09:52
 
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bellissimo topic

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