"Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8,32) mese di aprile 2014

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lazzaro2004
00martedì 1 aprile 2014 22:56
lazzaro2004
00martedì 1 aprile 2014 22:57
Le definizioni che vengono date a Gesù: 

"L'Uomo, l'Inviato, Colui che viene da Dio, Profeta, Figlio dell'uomo, credo Signore!"

lazzaro2004
00mercoledì 2 aprile 2014 19:22
Dal Duomo di Milano - Via Crucis: Canti e meditazione del Cardinale A. Scola - 1 aprile 2014
lazzaro2004
00mercoledì 2 aprile 2014 19:23
Arcidiocesi di Milano
Via Crucis con l’Arcivescovo
«Lo spettacolo della Croce» (Lc 23,48)
«Padre, perdona loro» (Stazioni VIII-XI)
Duomo di Milano, 1 aprile 2014
Martedì della quarta settimana di Quaresima
Lc 23,27-28;20-25; Is 50,6-7; dai Sal 22; 37; 40; 70; 87; 108 passim; Lc 23,33-38
Papa Benedetto XVI; Beato Giovanni XXIII; Paul Claudel; San Bonaventura
Catechesi di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano

Nelle quattro stazioni di questa sera abbiamo percorso le ultime tappe del cammino doloroso di Gesù, fino alle terribili ore della sua agonia sulla Croce. Ciascuno di noi, almeno dei più anziani come me, ha ben in mente l’agonia di qualcuno dei propri cari. Lo strazio di essere lì, accanto a loro, ma incapaci di risparmiargli anche solo un istante di quella lotta durissima e solitaria. L’impotenza, nonostante l’amorevole vicinanza, a liberarli da quella tremenda solitudine e dallo spavento del proprio male e della morte. Da quel drammatico pomeriggio sul Calvario di duemila anni fa, nessun uomo che muore è solo. Gesù è con tutti gli uomini che muoiono. Condivide ogni spasimo della loro agonia e si dona loro. Di più, li perdona (per-dono: nel dono è stato inserito un moltiplicatore infinito). «Padre, perdona loro».

VIII. Gesù incontra le donne di Gerusalemme

Ancora un incontro. Anche le ore della Via Crucis, come gli anni della vita pubblica di Gesù, sono piene di incontri.
Quasi che il metodo con cui il Signore ha voluto farsi presente agli uomini ci fosse consegnato come estrema, preziosa, eredità. Gesù si svela a noi e svela noi a noi stessi attraverso l’incontro. «Voltandosi verso di loro disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli”» (Lc 23,28).

La vita è una cosa seria, ma noi, per la nostra costitutiva fragilità e forse per il contesto in cui siamo immersi, siamo portati a banalizzarla, a mettere il silenziatore sulla responsabilità delle nostre azioni o a scaricarla su persone e circostanze fuori di noi. «Il Signore ci avverte del pericolo in cui siamo. Ci mostra la serietà del peccato e la serietà del giudizio. Non siamo forse, nonostante tutte le nostre parole di sgomento di fronte al male e alle sofferenze degli innocenti, troppo inclini a banalizzare il mistero del male?… Ma guardando alle sofferenze del Figlio vediamo tutta la serietà del peccato» (Papa Benedetto XVI).

IX. Gesù cade la terza volta

«Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli sputi» (Is 50,6). In questo Canto del Servo che prefigura l’Innocente condannato a morte, il profeta ci mette di fronte ad un’iniziativa positiva verso la sofferenza e il dolore. Eppure questa incredibile, inaudita iniziativa di Gesù non è masochismo, ma l’andare fino in fondo nel dono di sé per amore, «sapendo di non restare confuso» (Is 50,7); certo, come un bambino che, saldamente ancorato alla mano del padre, va incontro a tutto.
«Impariamo da lui… a voler bene… anche a quelli che ci fanno del male… e che forse dinnanzi a Dio sono più buoni di noi» (Beato Giovanni XXIII).

X. Gesù è spogliato delle vesti

«Essi stanno a guardare e mi osservano… mi hanno ritenuto come una vergogna» (Sal 108,25).
Cristo, il nuovo Adamo, ha preso su di sé e in sé tutta la debolezza e la mortalità della carne del vecchio Adamo. In Adamo ed Eva la nudità del corpo da trasparente segno della natura comunionale della persona diventa, dopo il peccato, oggetto di vergogna. La com-passione totale di Cristo – «Essi non ti hanno lasciato niente, o Signore… Hanno preso tutto» (Paul Claudel) – che si lascia spogliare di ogni suo diritto divino, restituisce al nostro corpo la sua dignità originaria e lo destina alla resurrezione. Quante decisive conseguenze della spoliazione del Redentore! San Paolo le riassume: «Il corpo è per il Signore e il Signore è per il corpo» (1Cor 6,13). Nella splendida vetrata che abbiamo davanti il corpo del Crocifisso, così sereno e luminoso, ci offre un presagio di resurrezione.

XI. Gesù è inchiodato alla croce

«Padre perdona loro»: una delle ultime, preziose parole di Gesù sulla croce è spesa per ribadire, ancora una volta, la misericordia. A questa esperienza così indispensabile per la vita dell’uomo, della famiglia oltre che per la vita buona della società e del mondo, deve corrispondere l’assenso pieno e grato della nostra libertà: «Egli ti ama, ti guarda e ti ha riscattato, cammina con lui e vivi per lui. Ammira, ringrazia, ama, loda e adora» (San Bonaventura).

O dolce legno,
o dolce palo della Croce
che porti il peso dolce della misericordia,
noi ti ammiriamo e ti rendiamo grazie.
O Croce di Gesù,
che ci mostri il suo corpo
spogliato, piagato, inchiodato,
il suo corpo totalmente offerto per la nostra salvezza,
noi ti adoriamo: donaci di amarti.

http://www.incrocinews.it/chiesa-diocesi/ges%C3%B9-si-svela-a-noi-br-attraverso-l-incontro-1.90020
lazzaro2004
00venerdì 4 aprile 2014 18:39
CANTI QUARESIMALI
lazzaro2004
00venerdì 4 aprile 2014 18:40
CANTI QUARESIMALI
lazzaro2004
00venerdì 4 aprile 2014 23:45
"Le vie d'uscita dalla crisi"
lazzaro2004
00venerdì 4 aprile 2014 23:46
"La ripresa, giustamente invocata, sarà un’illusione senza una rinascita morale e
spirituale; e ciò sarebbe tanto più grave perché la dura lezione della crisi sarebbe stata vana,
pagata soprattutto dai deboli."

http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2014-03/26-3/Prolusione%20del%20Cardinale%20Presidente.pdf
lazzaro2004
00venerdì 4 aprile 2014 23:53
"Da forze buone" di Dietrich Bonhoeffer
lazzaro2004
00venerdì 4 aprile 2014 23:53
Dietrich Bonhoeffer
Circondato fedelmente e silenziosamente da forze buone, custodito e confortato meravigliosamente voglio trascorrere questi giorni con voi e con voi incamminarmi verso il nuovo anno.

Le cose passate tormentano i nostri cuori, il peso duro dei giorni brutti ci opprime: o Signore, da' ai nostri spiriti affranti la salvezza che ci hai preparato. Tu ci porgi il pesante e amaro calice della passione, pieno fino all'ultima goccia: noi lo prendiamo, grati, senza tremare, dalle tue care e buone mani.

Eppure, tu vuoi darci ancora la gioia per questo mondo e lo splendore del suo sole: ci ritorna alla mente il nostro passato e a te appartiene tutta la nostra vita.

Fa' che le candele che hai portato al nostro buio oggi ardano in silenzio e caldamente; raccoglici, se è possibile, di nuovo insieme: noi lo sappiamo, la tua luce arde nella notte.

Se ora si diffonde attorno a noi il silenzio, fa' che percepiamo il suono delle cose che, invisibili, si ergono attorno a noi, inno di lode di tutti i tuoi figli.

Custoditi meravigliosamente da forze buone aspettiamo, felici, le cose future: Dio è con noi la sera e la mattina e, sicuramente, ogni nuovo giorno.

lazzaro2004
00domenica 6 aprile 2014 21:44
V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A) Arte, Parola, Canto
lazzaro2004
00domenica 6 aprile 2014 21:45
 


Ma c’è un’altra morte, che è costata a Cristo la più dura lotta, addirittura il prezzo della croce: è la morte spirituale, il peccato, che minaccia di rovinare l’esistenza di ogni uomo. Per vincere questamorte Cristo è morto, e la sua Risurrezione non è il ritorno alla vita precedente, ma l’apertura di una realtà nuova, una “nuova terra”, finalmente ricongiunta con il Cielo di Dio. Per questo san Paolo scrive: “Se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi” (Rm 8,11). Cari fratelli, rivolgiamoci alla Vergine Maria, che già partecipa di questa Risurrezione, perché ci aiuti a dire con fede: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio” (Gv11,27), a scoprire veramente che Lui è la nostra salvezza.

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/angelus/2011/documents/hf_ben-xvi_ang_20110410_it.html

lazzaro2004
00mercoledì 9 aprile 2014 22:53
Dal Duomo di Milano - Via Crucis: Canti e meditazione del Cardinale A. Scola - 8 aprile 2014
lazzaro2004
00mercoledì 9 aprile 2014 22:54
Arcidiocesi di Milano
Via Crucis con l’Arcivescovo
«Lo spettacolo della Croce» (Lc 23,48)
«Oggi sarai nel Paradiso» (Stazioni XII-XIV)
Duomo di Milano, 8 aprile 2014
Martedì della QUARTA settimana di quaresima
Lc 23,39-49; Lc 23,50-54; Lc 23,55-56;
San Giovanni Crisostomo, Reiner Maria Rilke, Olivier Clément
Catechesi di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano

XII. Gesù muore in croce

«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). Ciascuno di noi questa sera ha sulle labbra la preghiera del buon ladrone. Egli è la figura della speranza cristiana, cioè dell’attesa certa di un bene futuro – come la definiva il grande Tommaso d’Aquino. Che cos’è, infatti, il regno se non la condizione di compimento di ogni desiderio di bene per la nostra vita, per quella dei nostri cari e per quella di tutta la famiglia umana? E la risposta di Gesù sorpassa ogni speranza, perché brucia ogni rinvio al futuro con quell’impressionante: «Oggi con me sarai nel Paradiso» (Lc 23,43). «Ma cosa dici, Signore – commenta Giovanni Crisostomo – Tu sei crocifisso, attaccato con chiodi e prometti il paradiso? Sì, perché impariamo qual è la tua potenza sulla croce». La croce ci consente di attingere dal cuore di Cristo la sublime conoscenza dell’amore (Orazione di inizio). L’evangelista Luca nel primo brano che abbiamo sentito proclamare ci documenta che Gesù, anche nel momento più buio dell’umana esistenza, quello in cui sta per essere ghermito dalla morte con il corpo straziato dalle sofferenze più atroci e il cuore pieno di angoscia, non cede il suo essere-in-relazione. Continua ad amare e grida con le parole del Salmo 31: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Fin dal Calvario questa potenza generatrice di amore propria della croce si attesta nella fede del centurione («dava gloria a Dio dicendo: “Veramente quest’uomo era giusto”», Lc 23,47) e nella decisione di conversione della folla («ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano battendosi il petto», Lc 23,48). La morte di Gesù è un evento cosmico e liturgico (il velo di separazione, costituito dal peccato, viene lacerato dalla misericordia di Dio); sotto la Croce ha inizio la Chiesa dei pagani: il comandante romano del plotone di esecuzione fa la sua professione di fede in Cristo.

XIII. Gesù è deposto dalla croce

«… vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri… e aspettava il regno di Dio» (Lc 23,50-51). Si chiama come lo sposo di Maria e, come lui, è giusto (vive con verità le tre relazioni costitutive: con Dio, con gli altri e con se stesso). Giuseppe d’Arimatea si oppone all’iniquità scelta dalla maggioranza del sinedrio. Non è vero che il potere è sempre iniquo. Non lo è se accetta di sottomettersi alla verità e la afferma, a viso aperto. Il corpo immolato del Figlio di Dio passa dalle braccia pietose di Giuseppe d’Arimatea a quelle di Sua Madre: «… dolore immenso, oltre il limitare del mio cuore. Ora giaci attraverso, sul mio grembo, ora te non posso più io partorire» (R.M. Rilke). È la figura, bellissima e struggente, della Pietà riprodotta centinaia di volte dall’arte di tutti i secoli. Il grembo di Maria, in ideale continuità con la Croce, ora si fa altare, dove la Vittima immolata viene offerta per la salvezza di tutti gli uomini. Quante madri – dalle prime dei Santi Innocenti fino a quelle di Plaza de Mayo e a quelle delle vittime della violenza che non cessa di insanguinare il mondo – ripropongono questa Pietà elargita che salva il mondo...!

XIV. Gesù è posto nel sepolcro

«Le donne… seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi ed oli profumati» (Lc 23, 55-56). Il “genio” femminile ha un ruolo decisivo nel prendersi cura della vita. Non c’è cultura che non lo documenti. Non a caso la donna presiede alla nascita e alla morte. La tradizione antichissima di ungere il cadavere con aromi ed oli profumati esprime il desiderio di fermare la morte conservando il più possibile il corpo. Un gesto amoroso tanto commovente quanto struggente, perché destinato a mancare il suo scopo. Eppure questo gesto testimonia l’incoercibile bisogno di eternità che dimora da sempre nel cuore dell’uomo. «Tomba, grotta matrice o stanza nuziale, la terra è fecondata dal fuoco dello Spirito come lo fu Maria, nostro roveto ardente» (Clément). Il Signore scende agli inferi, nel profondo grembo della terra, «Scende e con le mani imperiose afferra l’Uomo e la Donna, tutti gli uomini e tutte le donne, e li ricrea nella luce» (Clément). La resurrezione della carne è un caposaldo della nostra fede. Noi non crediamo solo nella immortalità dell’anima, ma anche nella resurrezione dei corpi. È questo un tratto distintivo della nostra fede, come scrive Tertulliano: «Fiducia christianorum resurrectio mortuorum; illam credentes, sumus – La risurrezione dei morti è la fede dei …
lazzaro2004
00giovedì 10 aprile 2014 22:15
QUANDO L’UOMO SI ALLONTANA DA DIO - CURA DELLA PROPRIA ANIMA
lazzaro2004
00venerdì 11 aprile 2014 20:40
"Corpo d'amore" di Alda Merini
lazzaro2004
00venerdì 11 aprile 2014 20:41
Io lo conosco:
ha accarezzato le mie viscere,
imbiancato i miei capelli per lo stupore.

Mi ha fatta fiorire e morire
un’infinità di volte.


Ma io so che mi ama
e ti dirò, anche se tu non credi,
che si preannuncia sempre
con una grande frescura in tutte le membra,
come se tu ricominciassi a vivere
e vedessi il mondo per la prima volta.


E questa è la fede, e questo è lui,
che ti cerca per ogni dove
anche quando tu ti nascondi
per non farti vedere.


http://www.gionata.org/index.php?option=com_content&view=article&id=535:anche-quando-tu-ti-nascondi-per-non-farti-vedere&catid=67:tracce&Itemid=100377

lazzaro2004
00sabato 12 aprile 2014 10:29
Contro la tratta di esseri umani l'audacia del bene di Alganesh
lazzaro2004
00sabato 12 aprile 2014 10:30
Contro la tratta di esseri umani l'audacia del bene di Alganesh

 





 

Dall’Africa all’Italia, le rotte dell’inferno


A Sud di Lampedusa si addensano nubi. Ogni mese continuano a fuggire dall’Eritrea tremila giovani disperati per evitare dittatura e servizio militare a vita. Ma per farlo devono mettersi nelle mani di spietati trafficanti spesso in divisa. Chi varca il confine in Sudan – il traffico è controllato dagli eserciti dell’Asmara e di Khartoum, come l’Onu ha ribadito – puntando verso la Libia spesso viene rapito nei deserti del Sahara e del Sinai ed entra in un inferno dove la vita umana ha un prezzo alto.

Le rotte della nuova schiavitù e la tragedia degli eritrei sono state presentate ieri a Roma alla Radio Vaticana in una conferenza moderata da padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede, con testimoni quali don Mosè Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia e punto di riferimento di chi finisce nei viaggi della disperazione; Alganesh Fessaha, coraggiosa presidente dell’Ong Gandhi; da suor Azezet Fidane, la missionaria comboniana che aiuta le donne eritree a Tel Aviv; e José Angel Oropeza, direttore dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni per il Mediterraneo.

Il Sinai, con 30 mila sequestri dal 2009 ad oggi che hanno fruttato 600 milioni di dollari – vicenda seguita da Avvenire fin dagli inizi e che ora, dopo i bombardamenti delle forze di sicurezza cairote ospita pochi prigionieri – non è l’unica tragedia di questo popolo. C’è il Mediterraneo. Per Oropeza siamo in un picco del flusso dall’Africa.

«Nel 2013 sono sbarcate 45 mila persone tra Italia e Malta grazie al racket di trafficanti. Il barcone affondato a Lampedusa lo scorso 3 ottobre ha fruttato un milione di euro».
Intanto le salme delle 361 vittime di Lampedusa, perlopiù eritrei, cinque mesi dopo non sono state restituite ai familiari.

«Ne abbiamo chiesto più volte il rimpatrio – sottolinea don Zerai – sappiamo che Roma ha deciso di restituirle a chi fa richiesta dopo la prova del Dna. Ma per farla serve la collaborazione dell’Asmara e per ora è tutto fermo».

Il traffico dall’Eritrea passa il Sudan e si dirige verso la Libia, dove i centri di detenzione, pagati dall’Ue, sono pieni di eritrei detenuti.

«Non conosciamo i contenuti dell’accordo tra Italia e Libia – accusa il prete dei rifugiati – ma nulla è cambiato dai tempi di Gheddafi. Vengono chiusi in celle sovraffollate dalle quali si esce corrompendo i carcerieri con 1.000 dollari. C’è una novità, i profughi vengono rapiti e tenuti in ostaggio nel triangolo tra Libia, Sudan e Ciad». Chi non paga 10 mila dollari viene venduto ai predoni nel Sinai.

«Dove le donne vengono stuprate, dove gli ostaggi vengono torurati, percossi, bruciati per estorcere riscatti fino a 40 mila dollari alle famiglie». Lo ha testimoniato Alganesh Fessaha, che ha rischiato più volte la vita per salvare 550 persone, senza pagare riscatti dalle grinfie dei predoni, grazie all’aiuto di uno sceicco salafita di Rafah e ne ha portate 2.200 in Etiopia prelevandole dalle carceri egiziane. La vincitrice dell’Ambrogino d’oro ha proiettato le foto scattate ai prigionieri liberati. Corpi straziati e scheletriti come quelli delle vittime dei lager nazisti.

Infine suor Azezet Kidane, comboniana di origine eritrea, impegnata a Tel Aviv ad aiutare chi arriva in Israele. È lei che per prima ha confermato traducendo i racconti ascoltati nella clinica di Phr a Jaffa gli orrori vissuti dagli eritrei nel Sinai. «Non credevo a quello che sentivo, né a quello che vedevo con i miei occhi», dice riferendosi a chi sopravvive ai viaggi della disperazione e che oggi teme di venire imprigionato e rimpatriato per la stretta sull’immigrazione del governo.

«Lavorano come schiavi – denuncia Azezet – per comprare i documenti dei Falasha, gli ebrei etiopi». Oppure. pagano 7.000 dollari ai trafficanti per raggiungere Australia e Europa dall’Asia. E poi vengono abbandonati in Vietnam, Indonesia, Thailandia
Chi sopravvive all’odissea nel deserto o in mare e ha ottenuto asilo non ha finito di soffrire. Ci pensa la burocrazia al resto.

«Nelle ambasciate italiane in Etiopia e Sudan – conclude don Zerai –, giacciono centinaia di domande di ricongiungimento famigliare di profughi eritrei che vivono nel nostro Paese e hanno ottenuto il nulla osta del Viminale. Ma è difficile ottenere i documenti. Grazie all’Acnur siamo riusciti a sbloccare molti casi, ma non in Etiopia dove quasi 700 richieste sono inevase e in scadenza».

Don Mosè chiede che l’Europa apra il suo cuore e le sue porte al popolo in fuga dall’Eritrea. Ma è tempo che soprattutto l’Italia si assuma le sue responsabilità storiche e morali.

Paolo Lambruschi
http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/africa-italia-rotte-inferno.aspx

L' ONG Ghandi vince il Premio Nazionale "Maria Rita Saulle"

http://www.asefasc.org/
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lazzaro2004
00sabato 12 aprile 2014 13:12
Ruanda: La bontà "insensata" di Marguerite
lazzaro2004
00sabato 12 aprile 2014 13:13
“L’angelo del Burundi”

Pace e fraternità, malgrado le difficili condizioni socio-economiche, si possono incontrare in alcuni luoghi dove il dialogo e la cooperazione ne costituiscono i pilastri. Una delle realtà più importanti è La Maison Shalom, “la casa della pace”, fondata nel quartiere di Ruyigi (Bujumbura), nel 1993, da Marguerite Barankitse per offrire un aiuto concreto alle vittime della guerra civile e per lottare pacificamente contro l’idea di una società divisa secondo appartenenze etnico-religiose.

La decisione di creare questo progetto nacque dopo che Maggy fu testimone del massacro di settantadue persone, tra cui la sua migliore amica. Dopo un iniziale periodo di avvilimento, Maggy Barankitse, chiamata anche “l’angelo del Burundi”, sentì in lei un richiamo: «Compresi che la mia missione era di occuparmi dei bambini orfani e di far comprendere ai miei fratelli burundesi che Dio li ama, e che noi siamo stati creati non per massacrarci, ma per essere felici». La sua forza interiore le è stata trasmessa sin dall’infanzia.

Quando morì il padre, Maggy era ancora piccola e sua madre, per infonderle coraggio, le disse: «Non piangere Marguerite, un cristiano non è mai orfano!» La profondità di quell’insegnamento l’ha motivata a creare una “casa della pace”, dove accogliere e aiutare bambini, prostitute, gente scampata ai massacri. «Ho accettato di non comprendere tutto dell’animo umano, e di questa violenza che è in noi. Ho lasciato che la presenza di Dio in me fosse più forte della mia angoscia».

Messaggi di fratellanza

Tramite la Maison Shalom vengono realizzati vari programmi, con una priorità verso il sostegno psico-sociale, la prevenzione contro l’Aids e il reinserimento nella società civile di donne ex-combattenti. Altrettanto importante è il progetto di costruzione dell’Hôpital Rema, centro medico dedicato alle cure sanitarie per madri e bambini.

Marguerite Barankitse, per il suo impegno ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio internazionale ONU per i rifugiati e il Voices of Courage Award dalla Commissione femminile per le donne e i bambini degli Stati Uniti. Anche l’Italia l’ha accolta più volte, sostenendola nel suo progetto, e conferendole il Premio Federico II per la Pace, edizione 2010, riconoscimento assegnato a chi opera per il bene comune.

Margherite Barankitse ha tra l’altro partecipato al Festival del Suq 2010, organizzato presso il Porto Antico di Genova, in occasione di un’intervista rilasciata a Maria Pace Ottieri, il 6 maggio, nella Sala del Consiglio Provinciale.

Il coraggio e la determinazione di Marguerite Barankitse sono stati raccontati nel libro La haine n’aura pas le dernier mot, scritto da Martin Christel e Nobécourt Lorette (tradotto con il titolo Madre di diecimila figli, Piemme edizioni), le cui pagine svelano l’altruismo di questa donna, che ha saputo reagire alle ingiustizie attraverso l’amore e il perdono.

http://www.missioni-africane.org/articoli/417__Marguerite_Barankitse_e_la_Casa_della_Pace/

lazzaro2004
00sabato 12 aprile 2014 13:24
Fecondazione eterologa: " Un figlio non è un diritto."
lazzaro2004
00sabato 12 aprile 2014 13:26
La sentenza con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale il divieto di ricorso alla fecondazione eterologa snatura il concetto di maternità e paternità. Ne è convinta la Conferenza Episcopale Italiana che ha sottolineato come “in questo modo si determina un pericoloso vuoto normativo nel quale rischia di essere legittimata ogni tecnica di riproduzione umana”. Duro il commento di Adriano Pessina, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica: ”Con questa sentenza si prosegue lungo la strada che riduce la generazione ad un evento tecnologico, governato in primo luogo dal desiderio degli adulti, che vogliono un figlio a tutti i costi. Ma un figlio non è un diritto”. Sconcerto e perplessità anche dall’Associazione Medici Cattolici secondo la quale “la fecondazione artificiale eterologa lede la dignità e i diritti del nascituro e della coppia; depersonalizza l’identità della coppia e della famiglia e ha effetti a cascata su ambiti giuridici e sociali”(a cura di Federico Piana)

http://it.radiovaticana.va/news/2014/04/11/fecondazione,_il_figlio_non_è_un_diritto/105-790018

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali

Dichiarazione della Presidenza
in merito alla decisione della Corte costituzionale del 9 aprile 2014
in materia di fecondazione eterologa medicalmente assistita

La decisione della Corte Costituzionale, verso il cui operato si conferma il necessario rispetto, entra nel merito di una delicata esperienza umana. Il desiderio di avere un figlio è profondo ed indiscutibile e merita il massimo rispetto e la più delicata comprensione. In attesa di conoscere le relative motivazioni della Corte Costituzionale è peraltro doveroso segnalare alcuni nodi problematici che suscitano dubbi e preoccupazioni, sotto il profilo antropologico e culturale.
In primo luogo viene affermato un non meglio precisato “diritto al figlio” o “diritto alla genitorialità”, col rischio di confondere o, peggio, identificare il piano dei desideri con il piano dei diritti, sottacendo che il figlio è una persona da accogliere e non l’oggetto di una pretesa resa possibile dal progresso scientifico.
In secondo luogo si assume come parametro di valore un preteso diritto individuale, sganciato da qualsiasi visione relazionale; in questo modo si trascura, tra l'altro il diritto del figlio a conoscere la propria origine biologica.
Quindi, si cambia e si snatura il concetto e l’esperienza di paternità e di maternità, che sono elementi preziosi per l’unità profonda ed inviolabile della coppia.
Infine, si determina un pericoloso vuoto normativo nel quale rischia di essere legittimata ogni tecnica di riproduzione umana. La cultura giuridica non dovrebbe semplicemente avvalorare il dominio della tecnoscienza, ma porsi la questione del senso e anche quella del limite. Infatti, come la storia ha dimostrato, non tutto ciò che è fattibile giova al genere umano.
Roma, 10 aprile 2014

lazzaro2004
00sabato 12 aprile 2014 21:02
LA SUPERBIA - IL VIZIO DEI PERFETTI di P. Giacomo Cucci
lazzaro2004
00sabato 12 aprile 2014 21:03
La superbia, come gli altri vizi capitali, ha in se stessa la propria pena, quel senso di acidità malevolo che avvelena l'anima fin dal profondo e rende perennemente infelici, vuoti e scontenti della vita: "L'aspetto curioso circa l'essere tutti presi da se stessi - curioso solo nel momento in cui uno ci pensa - è che ciò sembra portare così poca soddisfazione [...]. La scontentezza è sempre una delle punizioni della superbia, la conseguenza delle illusioni dell'autosufficienza che essa incoraggia" (45).

Va anche precisato che non necessariamente le umiliazioni costituiscono una forma di guarigione: il superbo, qualora venga punito o smentito, può diventare ancora più astioso e bramoso di vendetta, riaffermando il proprio orgoglio ferito. Qui si prostra un aspetto della perversione della superbia, dal momento che anche i possibili rimedi rendono ancora più ostinati e incattiviti, fino a negare l'evidenza: "La superbia è l'unico fra i sette vizi capitali in cui si è frequentemente inconsapevoli della propria arroganza, mentre di solito sappiamo quanto siamo irati, golosi, sensuali [...], anzi nemmeno lo consideriamo un vizio. Questo perché è difficile per noi ammettere che siamo meno degni di considerazione di quanto immaginiamo, e perché la nostra cultura si valuta in termini grandiosi e non apprezza l'umiltà o la modestia [...]. Questo è indicativo del profondo cambiamento culturale, da un orientamento centrato su Dio a un orientamento centrato sull'uomo [...]. Ancora peggio, alcuni movimenti umanisti [...] giustificano e incoraggiano l'egoismo, un elemento centrale della superbia" (46).

La solitudine del superbo rimane comunque una delle conseguenze più evidenti; dato che ama solo se stesso non ha possibilità di conoscere le persone, di cui coglie solo la possibile ammirazione, per poi dimenticarle: "Come disse W. Auden, Narciso non si innamorò del suo riflesso perché era bello, ma perché era lui. Se fosse stata la sua bellezza ad affascinarlo, egli se ne sarebbe liberato in pochi anni, con il suo sfiorire. Questo appassire nell'amore di sé è solo un simbolo dello spreco della vita che possiamo vedere attorno a noi. Sono vite vuote, alla ricerca dell'autosoddisfazione, così come le espressioni delle loro facce sono vuote. Vuote di scopi. Vuote di esperienze. Vuote di impegno" (47).

Questo vuoto, come osserva Nouwen, è il risultato di una eccessiva preoccupazione per cose che di per sé non ci appartengono, la fama, il successo, l'onore, cose esteriori e imprevedibili e proprio per questo facili a perdersi (48).

Padre Giacomo Cucci
lazzaro2004
00sabato 12 aprile 2014 21:21
INFESTAZIONI DIABOLICHE - LE MALEDIZIONI SU CASE E ANIMALI
lazzaro2004
00sabato 12 aprile 2014 21:24
Fra Benigno Esorcista

P. Gabriele Amorth Esorcista

Don Gianni Sini Esorcista

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lazzaro2004
00domenica 13 aprile 2014 21:01
SETTIMANA SANTA
lazzaro2004
00domenica 13 aprile 2014 21:02
Il tempo del dolore…

“Non sfugge a nessuno che stiamo vivendo giorni quali ci sembrava di non dover vivere mai. Perfino ad attardarsi sulla rievocazione delle violenze si ha l’impressione di essere stancamente ripetitivi. La situazione internazionale, gli eccidi, gli spettacoli della fame ci sfilano davanti agli occhi come grondaie inconsumabili, e si ha la tentazione di pensare a situazioni senza sbocco. La nostra coscienza morale esce schiacciata da questa temperie di dolore. È il tempo del torchio. Il nostro animo si gonfia di turbamento. Siamo presi dallo sconforto…”.
“Se è vero che ogni cristiano deve accogliere la sua croce, ma deve anche schiodare tutti coloro che vi sono appesi, noi oggi siamo chiamati a un compito dalla portata storica senza precedenti: «Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi» (Is 58,6). Pertanto, non solo dobbiamo lasciare il «belvedere» delle nostre contemplazioni panoramiche e correre in aiuto del fratello che geme sotto la sua croce personale, ma dobbiamo anche individuare, con coraggio e intelligenza, le botteghe dove si fabbricano le croci collettive”.

La Croce…

“Eppure… Gesù non è vittima della forza del destino; è sali to sulla croce perché l’ha voluto. La sua accettazione non è rassegnazione passiva, ma è accoglienza della croce, è accettazione della volontà del Padre. È una visione bellissima, che ci schioda dalla situazio ne di condannati a vita”.
“La nostra vita cristiana purtroppo tante volte non incrocia il cammino del Calvario. Non s’inerpica sui tornanti del Golgota. Come i Corinzi anche noi, la croce, l’abbiamo «inquadrata» nella cornice della sapienza umana, e nel telaio della sublimità di parola. L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi del la sua logica. La croce l’abbiamo isolata: è un albero nobile che cresce su zolle recintate, nel centro storico delle nostre memorie religiose, all’interno della zona archeologica dei nostri sentimenti, Ma troppo lontano dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno.
Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare, sulla carta stradale della nostra esi stenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del condannato”!

Non è l’ultima parola…

“C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato alla morte di Cristo: «Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra». Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia.
Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra.
Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che compri mono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo”.
“Collocazione provvisoria”. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo. Coraggio, allora: la tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”.
Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio.
Coraggio, comunque! Noi credenti, nonostante tutto, possiamo contare sulla Pasqua. E sulla Domenica, che è l’edizione settimanale della Pasqua. Essa è il giorno dei macigni che rotolano via dall’imboccatura dei sepolcri. E’ l’intreccio di annunci di liberazione, portati da donne ansimanti dopo lunghe corse sull’erba. E’ l’incontro di compagni trafelati sulla strada polverosa.
E’ il tripudio di una notizia che si temeva non potesse giungere più e che invece corre di bocca in bocca ricreando rapporti nuovi tra vecchi amici. E’ la gioia delle apparizioni del Risorto che scatena abbracci nel cenacolo. E’ la festa degli ex delusi della vita, nel cui cuore all’improvviso dilaga la speranza.
Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi, e perfino la morte, dal versante giusto: quello del «terzo giorno».
Da lì le sofferenze del mondo non saranno più i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo”.

Don Tonino Bello

http://sottoilmantodellamamma.wordpress.com/2009/04/07/roma-settimana-santa-2009-spunti-di-riflessione-di-don-tonino-bello/

lazzaro2004
00lunedì 14 aprile 2014 19:10
«Davvero costui era Figlio di Dio!». (Mt 26 e 27) esegesi di S.E. Cardinale Gianfranco Ravasi
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