Pallaro, De Gregorio, Fuda, Rossi, Giannini, Grassi e Turigliatto
Pronti a mettere l’Unione in crisi
Al Senato la maggioranza di centrosinistra è sempre stata appesa ad un filo sottilissimo, pronto a spezzarsi in qualsiasi istante.
Un filo che sembra essere diventato ancora più fragile in queste ultime settimane, alla vigilia dell’imminente esame della Finanziaria 2007.
Un passaggio delicatissimo durante il quale l’Unione potrà contare su cifre ancora più risicate.
Numeri alla mano, infatti, al momento l’Unione a Palazzo Madama sembra essere in vantaggio di un solo senatore, senza considerare ovviamente l’eventuale apporto dei sette senatori a vita: ma in realtà, secondo alcuni esperti, il centrosinistra si ritroverebbe già sotto, di almeno un paio di voti, se non di più.
Ecco nel dettaglio quali sono le situazioni che fanno tremare l’Unione al Senato.
LUIGI PALLARO
Eletto nella circoscrizione sud-americana dalla lista Associazioni Italiane in Sud America il senatore italo-argentino fin dall’inizio ha fatto sapere che avrebbe appoggiato l’Unione a corrente alternata. Inizialmente sembrava in predicato di poter diventare Ministro per gli Italiani del Mondo, poi il dicastero è stato ridotto a semplice branca del Ministero degli Esteri.
Uno sgarbo enorme per Pallaro, da qui l’allontanamento di ’El Senador’ dalla maggioranza, che adesso non sa più se conteggiarlo tra i suoi sostenitori oppure no.
SERGIO DE GREGORIO
Insieme a Pallaro è quello più a rischio. Eletto dall’Italia dei Valori, nominato presidente della Commissione Difesa, è subito entrato in conflitto con le forze della sinistra radicale e con l’Udeur.
A fine settembre ha lasciato Di Pietro per passare nel gruppo misto, come rappresentante della sua forza politica, gli Italiani nel Mondo. Adesso sembra orientato a fare il salto dall’altra parte della barricata parlamentare.
Ammicca a Forza Italia e in diverse votazioni si è già astenuto o non si è presentato in Aula, mettendo così in maggiore difficoltà l’Unione.
PIETRO FUDA
In questa classifica di ’indecisi’ è al terzo posto: eletto dal Partito Democratico Meridionale, lista ideata dal Governatore della Calabria, Agazio Loiero, adesso è in rotta con il centrosinistra e pare intenzionato a passare con la nuova forza di Marco Follini, Italia nel Mezzo.
FERNANDO ROSSI
Eletto con il Pdci ha recentemente lasciato il gruppo in dissenso con il segretario Oliviero Diliberto per la sua politica troppo morbida e vicina ai Ds. Adesso vuole creare una nuova forza di sinistra, Officina Comunista. Ha annunciato la sua intenzione di votare contro la Finanziaria e di fare poi altrettanto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan.
FOSCO GIANNINI
Esponente di Rifondazione Comunista, è molto critico con la politica portata avanti dal suo partito e, stando alle sue dichiarazioni, intenzionato a votare contro alla Finanziaria. Potrebbe lasciare il Prc per aderire alla neonata Officina Comunista di Rossi.
CLAUDIO GRASSI E FRANCO TURIGLIATTO
Esponenti della sinistra critica di Rifondazione Comunista, insieme a Giannini e Rossi facevano parte del gruppo dei nove dissidenti che hanno fatto tremare la maggioranza in estate sul decreto sull’Afghanistan. Molto critici sull’azione di Governo, anche loro sembrano intenzionati a votare contro la Finanziaria. Certamente voteranno contro, insieme agli stessi Giannini e Rossi, sull’Afghanistan a dicembre, anche se venisse messa la fiducia.
Fab. Car.
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[Data pubblicazione: 29/10/2006]
www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=68250,1,1
Ovviamente la fonte è di parte. Se tutti questi 7 senatori dovessero votare contro la finanziaria o astenersi (ricordiamo che al Senato l'astensione vale in pratica quanto un voto contrario), i "no" diventerebbero 163 (con i 156 senatori eletti per la CDL) contro 152 "sì", e a nulla varrebbe la presenza in aula anche dei senatori a vita votanti "sì". Personalmente, credo piuttosto improbabile che TUTTI questi senatori votino contro o si astengano, ma la partita rimane comunque risicatissima.
Se Prodi dovesse cadere per questo, ci sarebbero molte analogie con quanto avvenuto nel 1998, quando richiese un voto di fiducia di cui non c'era alcun formale bisogno e dovette rassegnare le dimissioni.