Efrem Siro, il primo poeta cristiano

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00sabato 26 agosto 2006 15:25
1700 anni fa nasceva il teologo e dottore della Chiesa celebrato come «arpa dello Spirito santo». Tre convegni lo ricordano


Efrem Siro, il primo poeta cristiano



Di Enzo Bianchi

Con la sua lettera enciclica Principi apostolorum del 5 ottobre 1920, papa Benedetto XV proclamava Dottore della chiesa un antico padre della remota Mesopotamia, Efrem il Siro, che le tradizioni greca e siriaca celebrano come «arpa dello Spirito santo». Fu di certo il ben noto amore di papa Benedetto XV per l'Oriente, per i Padri e per l'antica tradizione della Chiesa a ispirargli questo gesto, forse inatteso, ma che ha offerto alla memoria della Chiesa universale la grandezza di questo Padre e del ricchissimo patrimonio spirituale di cui egli è espressione: la tradizione siriaca, necessario completamento di quelle greca e latina. La ricorrenza quest'anno del XVII centenario della nascita di Efrem, celebrata da ben tre convegni internazionali (in Siria, Francia e India), unitamente alla pubblicazione in lingua italiana di alcune collezioni dei suoi splendidi inni presso la casa editrice Paoline, a cura dell'apprezzato siriacista italiano Ignazio De Francesco della Comunità di Monte Sole, ci offrono poi l'occasione di conoscere ancora meglio questo genio del pensiero cristiano. Efrem nacque a Nisibe (oggi Nusaybin), nel sud dell'attuale Turchia, intorno al 306 e fu discepolo del vescovo della città Giacomo, uno dei padri del concilio di Nicea. La tradizione vuole che sia stato quest'ultimo a ispirare a Efrem la fondazione della scuola teologica di Nisibe, la cui fama giunse ben presto fino in Occidente. Le vicende politiche della seconda metà del IV secolo, costrinsero però il Nisibeno ad abbandonare la sua città e a riparare a Edessa dove continuò la sua attività di teologo e maestro, e dove morì il 9 giugno 373. Efrem fu anche diacono e «figlio del patto», vivendo cioè secondo una forma vitae oggi detta «pre-monastica» di consacrazione al Signore nel celibato e al servizio della comunità cristiana locale. Ed è proprio per i cristiani della sua comunità che scrisse le centinaia di composizioni, soprattutto poetiche, che ne hanno fatto uno dei più grandi Padri dell' Oriente. In una comunità divisa e attraversata da vari venti di dottrina, Efrem scorge nella liturgia il luogo privilegiato della trasmissione della fede ortodossa, e compone i suoi inni con lo scopo primario di imprimere l'essenziale del mistero creduto, e quindi celebrato, nella mente e nel cuore di quanti a quei misteri si accostavano, uomini e donne: Giacomo di Sarug ricorda come Efrem sia stato il primo a comporre inni liturgici appositamente per il canto femminile. L'opera di Efrem fu ben presto tradotta in greco (Girolamo ricorda che le prime versioni in questa lingua furono realizzate mentre Efrem era ancora in vita); e quindi in latino e in tutte le lingue dell'Oriente cristiano. Nella sua opera affonda le radici la celebre tradizione innografica bizantina; ed Efrem divenne ben presto un vero e proprio «genere letterario», al punto che sotto il suo nome furono trasmesse moltissime composizioni pseudoepigrafe oggi note come «Efrem greco». Efrem è dunque innanzitutto un genio poetico, che preferì cantare e pregare la propria fede piuttosto che descriverla e definirla. Certo la poesia liturgica che ha reso famoso il Nisibeno fa parte dell'ispirazione più antica della sua Chiesa, che annovera tra le sue prime espressioni letterarie un testo come le Odi di Salomone, ma Efrem seppe dare a questo genere un ruolo unico nella storia della teologia: la poesia per il Nisibeno resta la via privilegiata per esprimere il mistero di Dio. Per lui la teologia non è speculazione filosofica bensì opera creativa, poetica appunto: così, simbolo e paradosso sono gli strumenti più efficaci per tentare di narrare qualcosa di Dio. Nessun concetto può violare Dio, perché il concetto delimita, definisce, mentre Dio resta sempre al di là di tutto e al cuore di tutto: radicalmente altro e profondamente intimo. Il teologo, allora, non ha da scrutare, ma piuttosto da piegarsi, da «tuffarsi nudo», dice Efrem, nel mare di Dio. Ha da piegarsi a intuire l'inenarrabile ovunque presente. Ha d a imparare a suonare le tre arpe di cui Dio fece dono agli uomini: «L'arpa di Mosè, l'arpa di nostro Signore e quella della natura». La fede guiderà il credente in questa conoscenza, in questa ricerca di senso nascosto nella Scrittura come nella creazione. Anche la Scrittura infatti ha bisogno di essere scavata, raccomanda Efrem: «C'è chi si accontenta di appendersi alle frange dalla verità e queste, con la loro resistenza, gli impediscono di cadere. Ma tu non fermarti al bagliore esteriore delle parole che, con la loro scorza esterna, nascondono il vero senso del racconto: applicati a scrutare il loro senso profondo e a conoscere ciò di cui esse parlano in verità!». Chiave per entrare in questi meandri della Parola è poi, oltre alla fede, la croce: il mistero della morte e resurrezione di Cristo è per Efrem il criterio ermeneutico per eccellenza. Intuizione straordinaria, dunque, quella di papa Benedetto XV nel riconoscere in Efrem un grande teologo e dottore della Chiesa: un teologo poeta! Un teologo che tentò di narrare Dio per altre vie e con altre parole. Vie e parole che ancora oggi ci stupiscono e nutrono la nostra fede.


da: www.avvenire.it/

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