Chiesa di minoranza, Chiesa di massa. Le due strategie di R. & R., Inc.
In che cosa concordano e in che cosa si dividono Ratzinger e Ruini, circa il futuro della Chiesa. Minoranza creativa o religione civile? Un’analisi di Silvio Ferrari
ROMA, 30 maggio 2005 – Pochi giorni dopo l’elezione a papa di Joseph Ratzinger l’ufficio centrale di statistica della Chiesa ha pubblicato l’“Annuarium Statisticum Ecclesiae” relativo al 2003, un volume di 500 pagine fitto di dati e in tre lingue, latina, inglese e francese.
Il confronto più interessante è tra questi dati e quelli del 1978, l’anno d’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II. In un quarto di secolo che cosa è cambiato nel profilo statistico della Chiesa che il nuovo papa Benedetto XVI ha cominciato a governare?
In cifre assolute i cattolici battezzati sono cresciuti del 43,5 per cento, da 757 milioni a 1 miliardo e 85 milioni.
Ma in proporzione alla popolazione mondiale sono diminuiti. Nel 1978 i cattolici erano il 18 per cento, nel 2003 il 17.
Questa variazione è molto disuguale da continente a continente. In Europa le cifre sono rimaste stazionarie. In Africa invece l’aumento dei battezzati è stato esplosivo: da 55 milioni nel 1978 a 144 milioni nel 2003, dal 12 per cento della popolazione africana nel 1978 al 17 per cento nel 2003.
L’Africa ha accresciuto il suo peso anche all’interno del cattolicesimo mondiale. In venticinque anni i cattolici africani sono saliti dal 7 al 13 per cento dell’insieme. Viceversa, i cattolici europei sono scesi dal 35 al 26 per cento del tutto.
Fatte le proporzioni tra i preti e i fedeli, però, l’Europa continua ad essere un continente privilegiato. Lì a ogni sacerdote diocesano o religioso corrispondono, in media, 1.386 fedeli. In Africa 4.723, un carico ancor più pesante che nel 1978, quando i fedeli per sacerdote erano 3.200.
Dell’evoluzione futura sono un indicatore importante le vocazioni al sacerdozio. In Europa, ogni 100 sacerdoti attivi, i candidati a rimpiazzarli sono solo 12, mentre in Africa sono 72 e in Asia 60. Analogamente, per ogni milione di fedeli, i candidati al sacerdozio sono 87 in Europa, 150 in Africa e 250 in Asia.
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Queste le cifre nude, alcune. Dalle quali si ricava che l’Europa è uno dei punti critici più seri.
Ma oltre alle cifre è necessaria un’analisi più fine e multidisciplinare, sulla quale gli studiosi non sono concordi.
Tra i sociologi della religione, ad esempio, vi sono interpretazioni molto diverse della condizione del cristianesimo in Occidente.
E anche tra gli uomini di Chiesa le visioni sono differenti. Anche due personalità tra loro molto vicine, come papa Ratzinger e il suo vicario Camillo Ruini, concordano sulla diagnosi ma si dividono in parte sulle strategie di risposta.
È quanto sostiene – in questo saggio scritto per
www.chiesa – il professor Silvio Ferrari, docente di diritto canonico e di relazioni tra Stato e Chiesa all’Università Statale di Milano e all’Università di Lovanio.
Religione civile o intransigenza: le due strategie
Dalle ricerche sociologiche sommariamente sintetizzate nei due punti precedenti discendono indicazioni che disegnano, per le grandi religioni europee, prospettive orientate in due direzioni diverse e difficilmente compatibili.
Una prima strada – che sembra interpretare alcuni suggerimenti impliciti nelle analisi di Grace Davie e Danièle Hervieu-Léger – va nella direzione di trasformare il cristianesimo in una sorta di religione civile dell'Europa, valorizzandone il carattere di custode della memoria e della tradizione europea.
In questa prospettiva non è essenziale che le Chiese siano sempre più vuote: se le grandi religioni cristiane sono capaci di riposizionarsi sul terreno del patrimonio culturale europeo, esse possono divenire ancora più minoritarie e, al tempo stesso, continuare a giocare un ruolo pubblico rilevante come depositarie dell'identità europea e fornitrici di simboli accettati dall'intera collettività.
Sta qui il significato profondo della domanda di inserire un richiamo alle radici cristiane dell'Europa nella futura costituzione dell'Unione. Il riconoscimento del ruolo giocato dal cristianesimo nella formazione dell'Europa è una garanzia di sicurezza. Se il futuro è incerto, il passato non può essere rimesso in discussione e fornisce un solido fondamento alla richiesta di ritagliare una posizione particolare per le Chiese cristiane all'interno dell'ordinamento giuridico dell'Unione Europea: esse meritano l'appoggio dei pubblici poteri non soltanto perché raccolgono l'adesione della maggioranza dei cittadini europei – cosa che in futuro potrebbe non essere più vera – ma perché costituiscono una parte fondamentale della tradizione e dell'identità dell'Europa.
Diversa è la prospettiva se si accolgono le conclusioni a cui sono giunti i teorici della economia religiosa e si imbocca la strada di una riaffermazione intransigente dell'identità cristiana e della sua alterità rispetto non soltanto alle altre religioni ma anche alla società laica e liberale dell'Occidente.
Questa strada implica infatti un certo grado di riconfessionalizzazione del cristianesimo: come ha sottolineato Jean-Paul Willaime, le tendenze “a rendere il cattolicesimo più cattolico, il protestantesimo più protestante e l’ortodossia più ortodossa percorrono in realtà ciascuna Chiesa e perfino ciascun fedele” e non sono appannaggio esclusivo dei gruppi integralisti o fondamentalisti presenti in ciascuna di queste Chiese.
Queste tendenze colgono ed esprimono la forte domanda di identità collettiva che percorre l'Europa intera, provocata dalla paura che l'Occidente esca perdente da uno scontro di civiltà con il mondo islamico, dal disorientamento innescato dai processi di deterritorializzazione conseguenti alla globalizzazione, dal dubbio che lo stato laico e liberale non sia in grado di governare la transizione verso la società multi-culturale e multi-religiosa determinata dai flussi migratori. Tutte le Chiese sentono l'esigenza di sottolineare la propria differenza e rimarcare la propria identità. La costruzione di un'immagine della Russia come paese ortodosso passa attraverso la riaffermazione della nozione di territorio canonico esclusivo, e la polemica contro il proselitismo della Chiesa cattolica e delle “sette” straniere. La ricostruzione del nesso tra religioni e identità nazionali si è compiuta nei paesi della ex Jugoslavia mediante il coinvolgimento – voluto o subito, poco importa – di cattolicesimo, ortodossia e islam nel conflitto che ha opposto Croazia, Serbia e Bosnia. Su un piano diverso, le linee di distinzione tra cattolicesimo ed altre religioni, che sembravano aver perduto nettezza nel processo del dialogo interreligioso, sono state di fatto rafforzate da documenti come la dichiarazione “Dominus Jesus” della congregazione per la dottrina della fede.
4. La Chiesa cattolica tra Ratzinger e Ruini
Le due linee interpretative indicate nel paragrafo precedente aiutano anche a comprendere le differenti strategie ecclesiali seguite da due protagonisti dell’ultimo conclave, Joseph Ratzinger e Camillo Ruini.
Papa Benedetto XVI, ex prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ed il suo vicario per la diocesi di Roma muovono dalla stessa diagnosi: la cultura illuminista radicale che “taglia coscientemente le proprie radici storiche privandosi delle forze sorgive dalle quali essa stessa è scaturita” (così Ratzinger nella sua conferenza del 1 aprile 2005 a Subiaco) è il vero nemico dell’Europa e le impedisce, per il proprio intrinseco relativismo, di individuare alcuni capisaldi etici condivisi che servano da guida nel confronto con altre civiltà e nella gestione delle trasformazioni interne al Vecchio Continente.
Per Ruini la speranza sta nel “risveglio dell’identità cristiana”, di cui il cardinale coglie alcuni segni soprattutto in Italia ma anche in altri paesi dell’Europa cattolica, protestante ed ortodossa. Fare del cristianesimo la religione civile dell’Europa è il progetto che si intravede dietro questa analisi del vicario di Roma, sviluppata in una sua conferenza dell’11 febbraio 2005. “La cosiddetta ‘religione civile’ americana, di carattere non confessionale” ma con una chiara impronta cristiana, sembra il modello “meglio in grado di garantire, nell’attuale società libera e democratica i fondamenti morali della convivenza e in ultima analisi una comune visione del mondo”, dice Ruini. E il cristianesimo, conclude, ha ancor oggi la capacità di “alimentare, in un’ottica non confessionale ma pienamente rispettosa della libertà religiosa e della distinzione tra Chiesa e stato, una visione della vita ed alcuni fondamentali valori etici che forniscano le basi dell’identità delle nostre nazioni”.
Questo progetto, per essere realizzato, richiede però che si avverino tre condizioni.
La prima consiste nella riconciliazione con gli ortodossi e nel superamento di alcune incomprensioni che hanno reso più tesi i rapporti con i protestanti. La religione civile degli europei non può avere il volto del cattolicesimo soltanto, ed i rapporti della Chiesa cattolica con le altre confessioni cristiane non hanno fatto segnare grandi progressi, al di là delle apparenze, durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Ma il nuovo papa, che non proviene dalla Polonia, dovrebbe incontrare meno resistenze a ristabilire con Mosca rapporti di buon vicinato, che potrebbero essere ricostruiti a partire da una comune visione dell’Europa: la riaffermazione dell’identità cristiana del Vecchio Continente è stato il profilo del pontificato di Giovanni Paolo II che ha riscosso maggiori consensi nell’ortodossia russa.
Più difficile appare mantenere aperto il dialogo con la cultura di ispirazione laica e secolare, attenuando le chiusure intransigenti e le condanne senza appello. Le posizioni tendono ad allontanarsi ed il diritto di famiglia, la morale sessuale, la bioetica sono gli esempi più chiari di questa divaricazione. Il timore delle gerarchie ecclesiastiche è che possa ripetersi in altri paesi cattolici ciò che sta accadendo nella Spagna di Zapatero ed era già avvenuto, senza troppo clamore, in Belgio: riconoscimento dei matrimoni omosessuali, introduzione di un divorzio “veloce”, progressiva estensione delle possibilità di eutanasia, libertà di ricerca sull’embrione e via dicendo. Finora è prevalso in Vaticano un atteggiamento di netto rifiuto, che non ha lasciato spazio a mediazioni anche quando esse erano possibili (riaffermare il carattere eterosessuale del matrimonio non significa necessariamente respingere ogni riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali), e non sembra che papa Ratzinger intenda cambiare rotta: ma è difficile comprendere, se prevalgono queste spinte a radicalizzare le differenze, in qual modo il cristianesimo possa presentarsi come insieme di principi e valori condivisi dalla maggioranza degli europei.
Infine resta il problema del rapporto tra Europa ed islam e della possibilità di concepire il cristianesimo come religione civile di un’Unione Europea di cui fosse membro la Turchia, “uno stato, o forse meglio, […] un ambito culturale, che non ha radici cristiane” (Ratzinger).
La questione è stata sinora diplomaticamente ignorata dal vicario di Roma ma non dall’ex prefetto della congregazione per la dottrina della fede, secondo il quale – quand’anche la Turchia accettasse i principi di libertà e di democrazia che tutti i membri dell’Unione debbono rispettare – rimarrebbe il problema dell’“intreccio di radici” su cui “questa cultura della libertà e della democrazia viene impiantata”. A giudizio di Ratzinger, solo ignorando tale questione e dando partita vinta alla “cultura illuminista e laicista dell’Europa” in base a cui “Dio non c’entra […] niente con la vita pubblica e con le basi dello Stato”, si potrebbe ammettere la Turchia tra i membri dell’Unione Europea.
Affiora qui una differenza importante tra le visioni dell’Europa sottese alle analisi di Ruini e Ratzinger. Quest’ultimo non sembra condividere le speranze di Ruini ed appare convinto che il destino dei cristiani in Europa sia quello di essere minoranza: una minoranza assediata da un “laicismo aggressivo […] che si presenta come l’unica voce della razionalità”.
In questa prospettiva, per Ratzinger, la prima necessità è quella di formare “uomini che tengano lo sguardo diritto verso Dio” perché “soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini”. Parole che danno voce ai convincimenti delle comunità e dei movimenti – da Comunione e Liberazione all’Opus Dei – che si battono per una riaffermazione forte della identità cristiana e ritengono inutile imbarcarsi in una politica di estenuanti compromessi con la società laica e liberale, attraversata da una crisi che è giudicata irreversibile. Secondo costoro, è meglio andare al confronto aperto e duro con le altre identità religiose e non religiose in Europa facendosi forti del proprio intatto patrimonio dottrinale,rimarcando la propria differenza e puntando sulla possibilità che un cattolicesimo integrale riesca a interpretare il bisogno di sicurezza e identità che percorre l’Europa intera. In tal senso la posizione del nuovo pontefice appare più vicina a quelle dei sostenitori di un cattolicesimo a forte intensità, anche se ciò potrebbe significare in Europa (ma forse non altrove) una sua minore diffusione.
Si tratta di due posizioni – quelle di Ratzinger e Ruini – realmente inconciliabili? La storia sembra suggerire una risposta negativa. Molte volte in passato la riaffermazione della proposta cristiana in tutta la sua radicale integrità si è espressa in forme che sono riuscite a rivitalizzare, senza traumi e fratture irreparabili, società che apparivano altrettanto lontane dal messaggio evangelico come quella odierna. Basta pensare alla storia degli ordini religiosi: la Chiesa li ha sovente valorizzati per trasformare dall’interno la società civile ma ha sempre evitato di incoraggiare le pulsioni più radicali e “fondamentalistiche” che dentro di essi si sono in più occasioni manifestate. È questa la strategia che seguirà papa Ratzinger?
Di fronte a posizioni così nette e precise, le analisi che provengono da altri settori del mondo ecclesiastico appaiono meno esplicite e articolate. Alcuni, come il cardinale Walter Kasper in una conferenza a Camaldoli del luglio 2002, hanno sottolineato che “la nuova realtà in cui viviamo rappresenta per la Chiesa non solo un pericolo, ma anche una sfida e un’opportunità”, aggiungendo che – diversamente dal secolo XIX – “Chiesa e modernità, Chiesa e scienza oggi non sono più avversarie, ma sono divenute alleate”.
Ma da queste premesse vengono tratte conseguenze modeste, circoscritte all’opportunità di un approccio ecumenico ai problemi dell’Europa e di una presentazione dell’ “assolutezza del Vangelo” non come “rivendicazione autoritaria” ma come “forma di servizio”.
È mancata fino ad ora, insomma, la forza di declinare il tema dell’identità cristiana in chiave non solo di resistenza ma anche di progetto, ridefinendola in rapporto (e non solo in opposizione) alla società europea contemporanea, secolarizzata e pluralista. Un’analisi coraggiosa che individui nella laicità politica e culturale la caratteristica che distingue l’Europa da altre regioni del mondo, una riflessione sulle radici cristiane della laicità e sulla sua capacità di agire come elemento di integrazione delle diverse identità religiose e culturali presenti in Europa potrebbero condurre a conclusioni capaci di aprire prospettive diverse da quelle indicate da Ruini e da Ratzinger.